Lla negritudine deriva da un atteggiamento attivo e offensivo della mente. È un'esplosione e un'esplosione di dignità. È rifiuto, intendo rifiuto dell'oppressione. È una lotta, vale a dire una lotta contro la disuguaglianza. È anche una rivolta. Ma poi, mi direte, rivolta contro che cosa?
Non dimentico che sono qui a un convegno culturale, che è qui, a Miami, che scelgo di dirlo. Credo che si possa dire, in linea generale, che storicamente la negritudine è stata una forma di rivolta anzitutto contro il sistema mondiale della cultura come si è costituito negli ultimi secoli e che è caratterizzato da un certo numero di pregiudizi, di presupposti che portano a una gerarchia molto rigida. In altre parole, la negritudine era una rivolta contro quello che chiamerò riduzionismo europeo.
Intendo questo sistema di pensiero ovvero la tendenza istintiva di una civiltà eminente e prestigiosa ad abusare del proprio prestigio anche per creare un vuoto attorno ad essa riportando abusivamente la nozione di universale, cara a Léopold Sédar Senghor, nelle sue stesse dimensioni, in altre parole per pensare l'universale a partire dai suoi soli postulati e attraverso le proprie categorie. Vediamo e abbiamo visto fin troppo bene le conseguenze che ciò comporta: tagliare l'uomo da se stesso, tagliare l'uomo dalle sue radici, tagliare l'uomo dall'universo, tagliare l'uomo dall'umano e isolarlo, in definitiva, in un orgoglio suicida, se non in una forma razionale e scientifica di barbarie.
Ma, mi direte, una rivolta che non è altro che una rivolta non è altro che un'impasse storica. Se la negritudine non era un vicolo cieco, era perché conduceva altrove. Dove ci stava conducendo? Ci stava conducendo a noi stessi. E infatti fu, dopo una lunga frustrazione, la presa da parte nostra del nostro passato e, attraverso la poesia, attraverso l'immaginazione, attraverso il romanzo, attraverso le opere d'arte, il lampo intermittente del nostro possibile futuro.
Il tremore dei concetti, il terremoto culturale, tutte le metafore dell'isolamento sono possibili qui. Ma la linea di fondo è che con essa è stato avviato un business di riabilitazione dei nostri valori per noi stessi, approfondendo il nostro passato da noi stessi, ri-tifo noi stessi in una storia, in una geografia e in una cultura, l'intero essere non viene tradotto da un pastismo arcaistico, ma da una riattivazione del passato in vista del proprio sorpasso.
Letteratura, diciamo?
Speculazione intellettuale?
Senza dubbio. Ma né la letteratura né la speculazione intellettuale sono innocenti o innocue. E infatti, quando penso all'indipendenza africana degli anni Sessanta, quando penso a questo slancio di fede e di speranza che suscitò, all'epoca, un intero continente, è vero, penso alla negritudine. , perché penso che la negritudine ha svolto il suo ruolo e forse un ruolo capitale, poiché è stato un ruolo di fermento o di catalizzatore.
Che questa riconquista della stessa Africa non fosse facile, che l'esercizio di questa nuova indipendenza comportasse molte disgrazie e talvolta delusioni, ci vorrebbe un'ignoranza colpevole della storia dell'umanità, della storia dell'emergere delle nazioni nella stessa Europa, nella metà dell'Ottocento, in Europa e non solo, per non capire che anche l'Africa doveva inevitabilmente pagare il suo tributo all'epoca del grande cambiamento.
Ma non è questo il punto. La linea di fondo è che l'Africa ha trasformato la pagina sul colonialismo e trasformandola ha contribuito a inaugurare una nuova era per tutta l'umanità.
Discorso di Aimé Césaire pronunciato il 26 febbraio 1987 (USA)
Aimé Césaire: "no to humiliation" _1ere_ed - chiusura e passaggio a 9782330039288
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Caratteristiche
Data di uscita | 2015-01-21T00:00:01Z |
Lingua | Français |
Numero di pagine | 90 |
Data di pubblicazione | 2015-01-21T00:00:01Z |